Lo scopo di questo articolo è quello di raccontare il modo in cui veniva preparato il pane a casa, ad Ozieri. Si basa su testimonianze di chi ha vissuto queste esperienze in prima persona, motivo per cui riteniamo sia una fonte di preziosa ricchezza culturale raccogliere anche i commenti di chi ha ricordi di questi rituali di una volta.
Ma facciamo un passo indietro, specificando che il nome del pane di Ozieri è “su pane fine”, ancor prima che venisse chiamato “spianata”.
Il termine “spianata” fu utilizzato dai primi panificatori provenienti da altri territori (“istranzos”), molto spesso da Sassari, venuti ad Ozieri per cercare fortuna nella produzione e commercializzazione di questo pane tipico.
Le famiglie che non possedevano un forno in casa portavano il pane a “sa coghidoras”, ovvero alle donne che svolgevano la cottura del pane a pagamento. Queste accendevano il forno solo se c’era un quantitativo di pane sufficiente (almeno 50 Kg di pane da cuocere o 20 Kg di “coccas de pumederra“, ovvero focacce di patate). In ciascuno dei rioni (Montju, Donnigaza, Cuzolu, Cadeddu, Coste, Biddanoa, Corralzu e Iddatza) esistevano diversi forni per la cottura del pane;
Sas coghidoras erano donne povere che avevano impiantato nelle loro misere abitazioni ad un piano dei forni che utilizzavano per la cottura del pane di chi ne faceva richiesta ed esercitavano questo mestiere durissimo per tutta la giornata e in tutte le stagioni. Venivano retribuite normalmente con del pane in proporzione alla quantità consegnata per la cottura (che poi rivendevano a chi non faceva il pane in casa) e negli ultimi tempi anche in denaro. Spettava a lei stabilire anche i turni della panificazione fra le diverse clienti (“sa fettianas“) in modo che la cottura venisse distribuita nell’arco della giornata e il pane fosse lievitato al punto giusto.
Spesso capitava che tra vicine di casa o tra parenti ci si mettesse d’accordo per fare il pane e si procurava a “sa coghidora” la legna necessaria per accendere il fuoco. Ciascuna portava un quantitativo di legna proporzionale al quantitativo di pane che poi doveva cuocere. Sa coghidora, passava di casa in casa a ritirare la legna e portarla, quindi al forno.
Ottima legna per il forno (solo rami) era considerata quella di olivastro (ozastru) perché utilizzabile sia fresca che secca, mentre quella di lentisco (chessa), anch’essa molto usata, doveva essere secca. Alle coghidoras le fascine di legna venivano fornite dai linnajolos, uomini che tagliavano la legna per proprio conto nei numerosissimi terreni boschivi privati del territorio ozierese. Avendo Ozieri pochissimi territori comunali, i linnajolos facevano il taglio della legna nei terreni dei privati (dopo naturalmente aver preso accordi con il proprietario) e poi trasportavano i fasci in città con i carri. Alcuni molto poveri, però, tutti i giorni, andavano alla ricerca della legna lungo i viottoli di campagna e rientravano alla sera con un fascio sul capo che vendevano alla coghidora.*
La donna doveva essere in grado di organizzare e gestire tutte le fasi della panificazione in funzione, poi, del consumo settimanale di pane dell’intera famiglia. Doveva, perciò, saper dosare “sa cotta e su pane“, ovvero la quantità di pane sufficiente per una settimana.
Ogni componente della famiglia svolgeva un ruolo ben preciso durante la panificazione.
Nel tardo pomeriggio del giorno prima della cottura, si mescolavano tutti gli ingredienti in “sa todinera”, ossia il recipiente in terracotta in cui si immetteva il giusto quantitativo di farina, acqua, sale e sa madrighe (lievito). Questa fase era chiamata “su cumassonzu”: creazione e lavorazione dell’impasto, che ovviamente avveniva con la sola forza delle braccia per oltre un’ora.
L’impasto veniva lasciato in sa todineras coperto con panni bianchi molto spessi e posizionato nel luogo più caldo della cucina, affinchè lievitasse tutta la notte.
L’indomani mattina, all’alba, si iniziava la lavorazione a mano dell’impasto (che durante la notte era cresciuto) che procedeva fino a che dalla pasta non si formavano delle “bolle d’aria” (“sas bullancas”), indice del raggiungimento del giusto grado di elasticità e consistenza impressa all’impasto.
A questo punto, dall’impasto si prelevavano piccole frazioni sufficienti per la creazione della sfoglia discoidale e sottile, che veniva forgiata utilizzando il mattarello (“su cannone”) nella spianatoia. In questa fase era molto importante l’abilità nel creare un disco perfettamente tondo, segno di grande manualità ed esperienza.
Il pane così prodotto veniva accuratamente avvolto in teli bianchi in sos canisthreddos all’interno dei quali proseguiva la lievitazione. Anche la scelta del giusto livello di lievitazione era assolutamente fondamentale per la buona riuscita della cottura.
Si doveva stare attenti a non portare il pane a “sa coghidora” quando ancora si presentava “pùrile” (non ancora lievitato) o al contrario “bischidu” (eccessivamente lievitato). Su pane fine risultava perfettamente riuscito quando appariva “comente unu ispiyu” (come uno specchio).
Quando si riteneva conclusa nel migliore dei modi la lievitazione, il pane ancora avvolto nei teli, veniva portato al forno dalla coghidora per l’avvio della cottura. Le donne si posizionavano il cesto sulla testa, mettendo un canovaccio arrotolato in modo che potessero tenerlo in equilibrio
All’interno del forno c’era caldissimo e il fuoco veniva acceso almeno 4 ore prima dell’inizio della prima cottura. In ogni caso, prima di procedere alla cottura, si svolgeva una prova (“su prou”), in modo da verificare che l’impasto fosse correttamente lievitato, sia che il forno avesse raggiunto la corretta temperatura di cottura.
Conclusa la cottura, su pane fine veniva riposto nelle ceste (“sos canisthreddhos”) e riportato a casa. Qui veniva conservato in “sa cashasa” e coperto nei panni bianchi durava circa una settimana.
Il compenso de sa coghidora, all’inizio era rappresentato da una parte del pane cotto (che poi lei rivendeva a chi il pane in casa non lo faceva). Successivamente, era in denaro: un tot per ogni kg di pane (inizialmente il peso veniva valutato ad occhio).
Il mestiere de sa coghidora era un lavoro duro, spesso svolto dalle donne più povere.